
Ebbene si, l’amico Mario, quando dice “potete immaginare la gioia? No, non potete” ha proprio ragione. L’agonismo è una parte importante della mia vita, me lo sento nelle vene. È come respirare, mangiare e bere. Un bisogno primario che ho scoperto da bambino.
Ed è brutto quando ti tolgono qualcosa che fa parte del tuo essere. Qualcosa per il quale hai vissuto fino a quel giorno. Devi vivere in “astinenza” e imparare a convivere con l’impossibilità di non poter “sgasare”.
Potete ben immaginare quindi cosa voglia dire poter anche solo tornare a calcare un campo gara dopo uno stop così lungo. È un mix disordinato di sensazioni ed emozioni contrastanti.
Da un lato la gioia immensa di poter tornare a fare quello che più ti piace, la felicità di andare in trasferta, preparare la bici in zona cambio, tornare a fare quei piccoli gesti che, quando ti mancano, capisci essere fondamentali per la tua felicità.
D’altro canto però hai una tremenda ansia. L’ansia di riuscire a tornare a buoni livelli, il non sapere ancora realmente la condizione del proprio fisico.
Così nei giorni prima del tanto atteso ritorno è un susseguirsi di momenti “up” dove si è in estasi, non si vede l’ora di indossare la muta e buttarsi in acqua e di momenti “down” dove l’ansia prendere il sopravvento, ci si pone mille domande, per lo più inutili e senza senso, ma che in quel momento ci attanagliano.
La cosa figa è che tutto questo “up and down” se ne va appena il giudice spara, e la gara inizia. Da quel momento è tutto solo un crescendo di felicità. Attenzione, non vuol dire che non si fa fatica, che non si soffre. Si soffre eccome, il corpo forse si ricorda vagamente cosa voglia dire fare 4h a “bomba”, ma di certo non se ne ricorda i dettagli. Che ti si presentato tutti, come sempre, nell’ultima frazione di corsa.
Il mio ritorno in gara è stato puro godimento, dopo una frazione di nuoto, spinta, ma dove ho controllato l’azione, nella seconda frazione, quella in bici, mi sono scatenato ed al rientro ero primo, ho mollato la mia (amata) bici in zona cambio, e ho iniziato a correre.
Vero, ero felicissimo e con un ampio margine da gestire. Ma ci credete se vi dico che ho fatto una fatica bestiale? Certamente fisica, ma soprattutto mentale. Ogni falcata è un “non farmi male”, 21,100mt di incertezza.Perchè puoi esserti allenato per 2-3 mesi senza nessun dolore, ma il tuo corpo lo testi davvero in gara, dove porti tutto al limite. E finché non arrivi alla fine hai paura che il male sia lì, dietro l’angolo, che aspetti solo il momento migliore per rovinarti la festa.
Ma quando alla fine tagli quella maledetta finish line, non piangi tanto per la vittoria in sé, piangi perchè ce l’hai fatta, perchè hai creduto in te stesso.
Superata la linea del traguardo è come se ci fosse una liberazione e non puoi fare altro che goderti il tuo momento.
Salire nuovamente sul gradino più alto del podio, dopo tutto quello che ho passato, è una delle emozioni più belle.
Ricordatevi di credere sempre in voi stessi. Non si perde mai!
Matteo Fontana
Grazie Matteo per questo racconto, vero, di pancia, che ci insegna molto e dà speranza a tutti quegli atleti che per un motivo o un altro sono fermi ai box.
Vederti tornare sui campi di gara è stato bello, vederti vincere ancora di più!
Ad maiora!
IronMario